Spreadin' Fear - Mankind (2012, Autoprodotto)
Gli Spreadin' Fear sono una band siciliana che, dopo due demo, '3 Nights Of Fear' e 'Pieces Of Mankind', giunge alla tappa del primo album con questo 'Mankind', autoprodotto e disponibile dallo scorso aprile. Vediamo cosa racchiude questo disco.
Il lavoro è aperto da 'Prologue', un intro strumentale melodico e con risvolti malinconici ma dal sapore vagamente sinistro. Subito dopo la prima traccia, 'John Doe', dove la prima cosa che si riscontra è la buona autoproduzione, necessaria in questi contesti, per permettere all'ascoltatore di godere in maniera ottimale di ogni strumento. Quindi tutto è livellato bene, per quanto riguarda il sound.
Gli Spreadin' Fear propongono un thrash metal massiccio e tecnico coadiuvato da inserzioni notevoli di progressive ed alcune velature oscure. Immaginatevi un "frullato sonoro" di cui i principali ingredienti siano i Pantera, i Metallica, certi Machine Head ed i Dream Theater. Quindi, si parla di sonorità dal spore moderno, seppur le principali radici siano da ritrovare in composizioni dei primi anni novanta. Il pezzo si muove bene tra cambi di tempo ed alcuni "giochetti" tecnici ben riusciti. Ma la band non risulta originalissima. 'Insomnia' ha una partenza monolitica, dove riff massicci si erigono come una parete rocciosa, con chiarissimi riferimenti agli insegnamenti del compianto Dimebag Darrel.
Un plauso al batterista che, durante tutto l'ascolto si dimostra adatto ad ogni situazione, con una certa preprazione dietro evidentissima. Certo però, sono tutti i musicisti ad avere il loro talento e saper bene il fatto proprio.
Buona fruibilità anche per 'Artificial Paradises', seppur sia tutto il disco che si ascolta in maniera fluida ed areosa, questo grazie alle aperture melodiche che non rendono estremamente compatto il lavoro, anzi, variando e facendo evitare la noia ai più. Se non siete molto inclini a certi tecnicismi potreste incorrere in alcuni momenti di noia, ma se così non siete, troverete pane per i vostri denti.
Il vocalist si muove bene tra momenti più puliti, dove si nota una vaga somiglianza con un James Hetfield e momenti rabbiosi, a mio avviso più convincenti. Gli assoli sono ben inseriti e composti con palese passione, come tutte le composizioni, ma la band ha la pecca di non riuscire ad inserire quel "più" che potrebbe far saltare dalla sedia, di fatto l'ascolto, come detto sopra, scorre fluido e senza intoppi, ma senza far pienamente colpo, oltre ad essere lontana da altre band simili più note. 'Burning City' ha un approccio distruttivo che vi farà agitare i capelli con un sano headbanging, dove alla violenza del thrash si inseriscono alcuni spunti vagamente di matrice death melodico. Un pezzo che si alterna a sfuriate distruttive e momenti con una loro cadenza, sinistra e malvagia.
Qualche secondo di presa d'aria con l'intermezzo strumentale 'The Cage', composto dalle sole chitarre, per poi ripartire con 'Lost In The Machine'. Questa dalle ritmiche meno violente, rispetto ai pezzi precedenti, con all'interno aree melodiche avvolgenti e ben strutturate, dove la chitarra fa la sua bella figura con una forte vena progressiva.
Cadenzata 'Solitude' dove a riff di matrice "Panteriana" ed una base ritmica ben movimentata si uniscono momenti soft governati dalle chitarre plumbee ed un cantato pulito ben tenuto. Anche in questa occasione, tra alcune altre, il vocalist arriva a sfiorare il death melodico.
'Asylum' ha una verve cattiva, creata tale da riff lenti ma possenti. Ma poco dopo aperture atmosfericamente sinistre prendono piede. Un pezzo che, per certi aspetti, mi hanno fatto venire in mente alcune situazioni di Opeth-iana memoria. Come sempre, presenti cambi di tempo, articolazioni strumentali ben composte e varie sfumature inserite in fase compositiva. Sempre restando, però, nello stile finora descritto.
Inizio molto morbido per 'Luring', dove chitarre pulite preparano all'attacco che, seppur non essendo molto estremo,risulta avvincente. Ma, ripeto, se non siete amanti di certi tecnicismi, la noia è dietro l'angolo, soprattutto arrivati già a questo punto del disco.
Conclude il lavoro 'Epilogue', logico proseguo dell'intro. E dopo qualche minuto di silenzio, una melodia distorta, come una sorta di "ghost outro".
Arrivando al conto, una band che palesa le sue indiscutibili ottime capacità ed una certa preparazione. Seppur gli Spreadin' Fear non propongano nulla di esaltante od originalissimo, quello che fanno lo fanno bene. Se non siete stanchi ai tecnicismi di matrice Dream Theater-iana ed amate il thrash dal sound moderno questo album è fatto per voi. Buona la capacità della band di manipolare il thrash ed il prog, riuscendo a creare un buon "colloquio" tra la parti più ragionate e per certi aspetti morbide, con quelle più dure ed aggressive. Sicuramente una band sufficiente che non passa inosservata, ma a livello compositivo, e soprattutto di personalizzazione, un po' di strada va ancora fatta!