Saat - s/t (2016, Ghost Factory Records)
Oggi vi parlo dei Saat, giovanissima band toscana che conobbi per caso, durante uno dei miei numerosi giri su bandcamp alla ricerca di qualcosa di nuovo da ascoltare. Ero alla spasmodica ricerca di qualcosa che mi avvolgesse, mirando a sonorità tra doom e stoner (e sia chiaro che i due generi, per quanto abbiano punti in comune, sono due cose ben diverse), giungendo a questo omonimo Ep rilasciato l'estate dello scorso anno tramite Ghost Factory Records.
Parto dalla copertina, dal gusto inevitabilmente stoner (logo compreso), che mi ha ispirato facendomi pigiare sul tastino "play" lanciandomi subito addosso 'Living In My Head', con un intro acustico blues registrato in sala prove - comprenderete come subito iniziai a pensare che fosse uno dei tanti Ep amatoriali del cazzo. Ma appena la traccia prese piede con l'effettiva partenza non smisi di ascoltarla per lungo tempo - tutt'ora, a distanza di mesi dalla scoperta della band, l'Ep continua a girare nel mio lettore audio, per dire.
I Saat suonano uno stoner rock bello pulsante che prende la strada che interruppero a loro tempo i Kyuss, con le dovute distanze ci mancherebbe, miscelando allo stoner puro momenti dal buon sapore psichedelico e le immancabili inflessioni blues del caso. 'Tuscany Hills' con l'introduzione blues / psychedelic mi rapisce istantaneamente, per poi partire con una batteria bella potente, riff che si innalzano come pareti pronte a chiudervi in un mondo sonoro al di fuori di quello che stavate facendo prima di iniziare l'ascolto ed il cantato ruvido e viscerale che mi piaciuto non poco. Subito dopo un "intramezzo" strumentale blues / psichedelico degno dei migliori trip lisergici di fine anni sessanta/primi settanta intitolato 'Reverse Trip Of Colored Love' - ma la band si rimette in moto con 'Hey Ernie' (del quale sotto vi riporto il videoclip), con la ripresa del basso pulsante, riff desertici e quella cazzo di voce graffiante che mi piace un sacco.
La band non propone nulla di nuovo sotto al sole, ma volete mettere l'attitudine desertica, la musica suonata con criterio, l'ottimo affiatamento, tutto uscito fuori da ragazzi che, da quanto ho capito, sono appena maggiorenni o quasi?
Come se i Kyuss un giorno avessero deciso di jammare con i cari e vecchi Soundgarden (vedi in 'Old Ways To Have Party') e, per certi aspetti, con i Black Sabbath (come nel caso dell'omonima 'Saat' che chiude il disco - unico brano con intrusioni molto doom).
Insomma, cari Saat, mi siete piaciuti davvero un sacco! Certo, alcuni angolini vanno un po' limati, ma come inizio non potevate fare di meglio. La mia stima e spero di ascoltare presto qualcosa di nuovo!