Gli ALASTOR debuttano con 'Black Magic' e continuano con 'Blood on Satan's Claw'.


Dalla Svezia giungono alla mia attenzione gli Alastor, che si presentano al pubblico con il loro primo Ep 'Black Magic', uscito lo scorso 18 Marzo via Twin Earth Records, continuando il cammino esordiente con il secondo Ep - in cassetta - 'Blood on Satan's Claw', uscito il 31 Ottobre scorso tramite LjudKassett. A questo giro vi parlerò di due lavori insieme, dunque iniziamo...


Alastor - 'Black Magic' (2017, Twin Earth Records)

Il primo Ep, 'Black Magic', si apre con 'Enemy' dalle cadenze mortuarie e molto fuzzy (mi piace un sacco questo termine, peraltro). La band mette subito in chiaro la propria vena sinistra dalle fortissime tinte esoteriche - seppur questo sia già palese da titolo e copertina.
Un cantato effettato si innalza dalle fumose melodie che avvolgono l'ascoltatore stringendolo in una gradevole morsa sonora a cui resta difficile resistere, sempre che siate amanti del genere. Quando si parla di tali sonorità va da sè che parliamo di nicchie, quindi non una musica apertissima al grande pubblico.
Doom psichedelico dunque, che in alcuni frangenti vede insinuarsi sensazioni stoner, che restano però tali. Nella parte finale si giunge a un ulteriore rallentamento che stringe la morsa di cui sopra, opprimendo il sistema uditivo (e l'oppressione in questi contesti è ben accetta), dove la chitarra tremolante si esibisce in tutta la sua classe.

Sia chiaro che gli Alastor non inventano nulla, ma d'altro canto chi vorrebbe molte innovazioni tra gli amanti di questo genere di sonorità? Gli svedesi fanno il loro lavoro e lo fanno come va' fatto, lasciando libera la propria vena stilistica condita da un'attitudine oscura veramente eccelsa.

'Nothing To Fear' è il pezzo meno duraturo, vale a dire poco meno di otto minuti. Le soluzioni sonore si svincolano in parte dall'area oppressiva e sulfurea del pezzo precedente, pur restando in territori attinenti e con una melodia che vi avvolgerà irrimediabilmente. Le linee vocali, con i riverberi del caso, diventano una sorta di "canto sacrale" (vi prego concedetemi il termine) che è un piacere ascoltare, dall'aria un po' sognante se vogliamo e risvolti cavernosi - rifacendomi ai riverberi di prima. Anche qui nella parte finale un lieve cambio di ritmica molto sabbath-iano dove la chitarra solista viene messa in primo piano con fluttuanti melodie.
Come da immaginarsi, le influenze sono da ritrovare in realtà come Black Sabbath, Electric Wizard e Windhand, per citare i primi tre che mi vengono in mente.

In chiusura dell'Ep troviamo la bellissima title-tack, 'Black Magic', con una cadenza sinistra da far paura che vi porterà in un vortice oscuro dal quale non vorrete più uscire, fidatevi! Il ritornello è qualcosa di spettacolare per quanto mi riguarda e, per conto di chi scrive, basterebbe solo questo brano per procurarsi il primo vagito discografico degli Alastor.
Arrivati ad un finto finale dopo circa otto minuti di "nenia" la band riparte, in maniera fortemente psichedelica, con quella che definirei la marcia funebre che segna la fine del breve ma intenso disco.

Alastor - 'Blood On Satan's Claw' (2017, LjudKassett)

Passiamo ora al secondo lavoro, 'Blood on Satan's Claw'. Il nastro contiene solo due tracce quali la title-track e 'Bad Moon Rising', una rivisitazione del brano appartenente ai Creedence Clearwater Revival.

Già dall'attacco di 'Blood on Satan's Claw', dove fortissimi sono i richiami alla scuola sabbath-iana, si denota una band dalle sonorità più ruvide che mette un po' da parte le opprimenti ambientazioni sonore del precedente lavoro, pur restando fermi a un doom come la regola vuole.
Anche qui, ovviamente, ci si mantiene in tempistiche che raggiungono un elevato minutaggio, cioè quasi dieci minuti, dove la band mostra il proprio lato più Rock, con un cantato meno effettato ma sempre affascinante ed ottimamente impostato. Base ritmica che non cede in supporto ad assoli di chitarra idonei al contesto.

Le tinte si fanno più cupe nella seconda ed ultima traccia 'Bad Moon Rising', come detto poco sopra una rivisitazione del brano pubblicato dai Creedence Clearwater Revival nel 1969 - contenuto nell'album 'Green River'.

Una versione sofferta e molto ammaliante, dove le soluzioni musicali adottate si poggiano su una cadenza dal sapore funereo e, emotivamente parlando, molto triste. Diciamo una via di mezzo tra l'Ep 'Black Magic' e questo ultimo, seppur non vi sia una marcata differenza, dove per un'istante viene messa in secondo piano la velatura psichedelica a favore di sonorità più crude.
Il vocalist si esprime a volte sgraziatamente, restando dall'ascolto intrigante, mentre pareti di basso saturo e chitarra distorta creano un masso che sentirete premete nella vostra testa.Molto toccante l'assolo di chitarra che adorna questa splendida versione del brano. Nel finale la canzone sfuma lasciando la chiusura, inaspettatamente, a degli archi in solitaria salutano l'ascoltatore con malinconia.

Entrambe i lavori meritano attenzione, se vi piace questo genere, e troveranno sicuramente accoglienza nella vostra collezione - oltre che ne vostri padiglioni auricolari.